L'antica chiesa di San Paolo alla Regola ci accoglie con la sua armoniosa facciata barocca di Giacomo Cioli e Giuseppe Sardi, che si flette in un vivace ritmo di linee concave e convesse, come un essere vivente: sempre imitare un'onda rievocante il vicino Tevere.
E proprio al fiume si deve il titolo della Chiesa: regola infatti è la trasformazione popolare di Arenula, una sabbia soffice che il Tevere deposita durante le piene. Ne abbiamo conferma in un documento del 1186 nel quale Papa Urbano III chiama la chiesa Sanctus Paulus de Arenula. L'attuale complesso è chiaramente barocco: infatti l'architetto Giovanni Battista Bergonzoni verso la fine del 600 riordinò le precedenti strutture di questo luogo nel quale, secondo la tradizione, San Paolo avrebbe predicato. L'apostolo, come era solito fare, si rivolgeva anzitutto ad ascoltatori ebrei: ed effettivamente questa zona, praticamente a ridosso di quello che in seguito diventerà il Ghetto degli ebrei, era abitata o comunque frequentata da Israeliti. Paolo, dunque, condannato ad una specie di arresti domiciliari a Roma, "trascorse due anni interi nella casa che aveva preso in affitto e accoglieva tutti quelli che venivano a lui, annunciando il Regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento": così racconta l'ultima pagina degli atti degli apostoli (28,30-31).
Un'autorevole tradizione indica che è qui il luogo (o uno dei luoghi) dove tutto ciò avveniva, la "casa" dove Paolo visse e da dove forse invio alcune sue lettere. Durante il Medioevo l'intera zona veniva chiamata Contratta Pauli. Perciò il grande apostolo appari in un medaglione sulla facciata e a lui fa riferimento la relativa iscrizione: GENTIUM DOCTORI DIVO PAULO COLLEGIUM SICULUM TER. ORD. S. FRANCISCI (A San Paolo, Dottore delle Genti, il Collegio Siculo del Terzo Ordine di San Francesco).
Nel 1619, infatti, per interessamento del re Filippo IV di Spagna, la cura della Chiesa venne affidata ai Francescani di Sicilia, che subentrarono agli Agostiniani.
Recenti scavi archeologici hanno portato alla luce le diverse stratificazioni degli ambienti antichi e medievali, compresi tra il I e il XIII secolo, tra cui l'edificazione di una chiesa dedicata a San Cesareo, testimoniata da una lapide del 1096 con un elenco di reliquie oggi murata accanto all'altare maggiore.
L'interno della Chiesa si presenta strutturato a croce greca, cioè con i quattro bracci delle stesse dimensioni, sormontata da una cupola. Negli angoli che si determinano trovano posto quattro cappelle. La prima cappella a destra è dedicata a Santa Rosalia. La Santa, agostiniana e patrona di Palermo, in qualche modo fa da ponte tra i seguaci di Sant'Agostino e la nuova gestione dei Francescani siciliani. Cristoforo Creo dipinse la pala d'altare. Nella dissolvenza dello spazio di una nube dorata e luminosa, tre Sante sono colte in diversi atteggiamenti: Santa Chiara volge lo sguardo all'osservatore; Santa Rosa è in atto di profonda meditazione, Santa Rosalia che regge il bastone del pellegrino, contempla la Vergine e il bambino Gesù: ai suoi piedi giacciono scettro e corona, segni della sua origine regale.
Nella stessa cappella è il Martirio di Sant'Erasmo di Biagio Puccini: la scena è costretta dentro un ovale che non riesce a contenere l'energia delle linee e dei colori che definiscono il martirio del Santo, mentre degli angioletti dall'alto gli porgono la palma e una corona di fiori in un turbinio di violenti colpi di luce.
Segue la cappella di San Francesco. La tela virgola, che raffigura la stigmatizzazione del Santo, è di Michele Rocca, detto il Parmigianino, firmata e datata 1695: gli angeli sostengono Francesco nella grandiosa e terribile esperienza della sua partecipazione alle piaghe di Cristo.
L'altare successivo è dedicato al crocifisso. Altro ovale del Puccini, con San Bonaventura e San Tommaso d'Aquino: mentre Bonaventura sta scrivendo, il suo corpo si alza dalla poltrona con la penna ancora in mano e dagli angeli viene introdotto in un'estasi intensa; I celesti messaggeri reggono i suoi simboli, il pastorale e il cappello cardinalizio. Alle sue spalle Tommaso sembra aprire una porta: aprire una porta sul mistero ed immergersi nel mistero stesso è il senso ultimo della teologia. Dietro Tommaso, infine, c'è Sant'Agostino, il grande maestro al quale tutti i pensatori, soprattutto filosofi e teologi, hanno guardato e continuano a guardare. L'oratorio di San Paolo, "DIVI PAULI APOSTOLI HOSPITIUM ET SCHOLA", che potrebbe corrispondere alla menzionata casa di Paolo, fu sistemato da Antonio Munoz nel 1931. Il mosaico novecentesco di Eugenio Cisterna presenta l'apostolo in catene. Alcune iscrizioni con brani delle sue lettere ci ricordano che da questo luogo egli indirizzò al mondo l'annunzio del Vangelo: "Io soffro fino a portare le catene come un malfattore. Ma la parola di Dio non è incatenata" (II Tm 2,9).
Nel presbiterio notiamo l'altare maggiore ricco di marmi policromi, un organo del 1763, il tabernacolo per gli oli santi datato 1535, gli stalli corali in noce.
L'abside, affrescata da Luigi Garzi, costituisce il vertice visivo della decorazione pittorica dell'edificio, con le scene fondamentali della vita di San Paolo: da sinistra la sua Predicazione, al centro la Conversione e, infine, la Decapitazione avvenuta a Roma sulla via verso Ostia durante la persecuzione di Nerone (64-66 d.C.).
Nella prima scena Paolo è in piedi con il libro della parola di Dio in una mano e l'altra orientata verso il cielo; alle sue spalle un tempietto e le piramidi, caratterizzanti l'ambiente pagano e sincretistico di Roma; l'uditorio è costituito da persone umili, colte in diversi atteggiamenti. Il cavallo imbizzarrito taglia diagonalmente la seconda scena, che vede le guardie della scorta in pieno sconvolgimento, mentre Gesù, contro cui nulla possono le lance dei soldati, irrompe dall'alto e copre Paolo con la nube della sua presenza. Nell'episodio del martirio, il colpo di spada del soldato romano è il centro della composizione, bilanciato dalle figure di altri due soldati impegnati nel controllare le persone accorse; tra loro si distingue una donna particolarmente commossa, colpita dalla luce: potrebbe essere Plautilla, una matrona romana che, secondo la tradizione, assistette alla decapitazione. La scritta in alto, al centro, riecheggia una frase del Vangelo secondo Giovanni (12,24) "il seme cadendo in terra produce molto frutto", che sintetizza tutto il cammino di Paolo: il seme della sua parola, il seme della sua conversione, il seme del suo sangue.
La sagrestia è affrescata da Ignazio Stern. Sulla porta all'esterno, un'ulteriore dipinto di Biagio Puccini: Maria porge il bambino a Santa Chiara. Alla Madonna delle Grazie è dedicata la successiva cappella. L'affresco di Maria che allatta il bambino risale agli inizi del Quattrocento: in quel figlio siamo presenti tutti noi, che da Maria riceviamo il latte della grazia.
La cappella di Sant'Anna propone l'altare con colonne a spirale e paliotto di alabastro, mentre sul timpano vola la colomba dello Spirito Santo e gli angeli spargono rose. La tela di Giacinto Calandrucci, è un'equilibrata composizione che accentua il senso di familiarità con cui il bambino volentieri va in braccio alla nonna, mentre San Giovannino in basso a destra è in attesa con il suo agnellino di potere annunziare Cristo al mondo. Dietro a Maria, nella stessa zona visiva di Giovannino, appare un personaggio con la croce: potrebbe essere San Lorenzo o, comunque, un testimone di quel mistero Pasquale che fin dall'infanzia si delinea nella vita del Salvatore. L'anziano Gioacchino legge per comprendere la parola di Dio e San Giuseppe e rapito nella contemplazione. In alto l'Eterno Padre benedice e protegge la famiglia terrena del suo Figlio. Grandiosa sulla volta è la Sant'Anna in gloria, opera di Salvatore Monosilio.
Anche nella cappella di Sant'Antonio di Padova ha operato Giacinto Calandrucci, autore della tela sull'altare, mentre il miracolo del piede e di Giacomo Diol. Il santo francescano riattacca il piede ad un giovane che se lo era tagliato per punirsi di aver dato un calcio alla propria madre: segno di quel cammino alla sequela del Redentore, raffigurato da un pittore anonimo, che ognuno di noi è chiamato a intraprendere, e a riprendere, qualora i nostri passi si fossero smarriti nelle strade oscure e inconcludenti del peccato.